CITTÀ E MICROCRIMINALITÀ: PIÙ POLIZIA O PIÙ COMUNITÀ?

Quasi tutte le città italiane sono ormai abituate a rapine, aggressioni e accoltellamenti, commessi principalmente da giovani e giovanissimi.

Ogni volta che un episodio del genere avviene, si ripete sempre lo stesso schema: accoltellamento, feriti, articoli di giornale, commenti indignati dei residenti e dichiarazioni del politico locale di turno che chiede a gran voce più poliziotti in strada.

Due modelli possibili…
Quello della microcriminalità nelle città è un problema serio che richiede una risposta concreta da parte delle amministrazioni locali. Ma come si contrasta questo fenomeno?

Ho avuto modo di parlarne e approfondire questo tema con Matilde Madrid, Assessora al Welfare (con delega alla sicurezza) del comune di Bologna, persona brillante e molto capace. 

Esistono principalmente due modelli di reazione possibili da parte dei comuni: il modello del ‘’diritto alla sicurezza’’ e quello della ‘’sicurezza dei diritti’’.

Per riuscire a comprenderli, partiamo da un fatto realmente accaduto: l’Estate scorsa, al parco della Montagnola di Bologna, reso tristemente noto per i continui episodi di microcriminalità – che tanto ricorda la nostra Piazza del Carmine- nell’arco di poche ore c’è stato uno stupro ed un accoltellamento. 

Proviamo a vedere come, seguendo questi due modelli, si può rispondere a fatti così gravi.

Partiamo dal primo modello, quello del diritto alla sicurezza; la reazione sarebbe quella chiudere il parco dopo una certa ora, emettere ordinanze anti-bivacco e mettere una pattuglia della polizia all’interno del parco ventiquattr’ore su ventiquattro.

Fare, sostanzialmente, la voce grossa.

Vediamo ora il secondo modello, quello della sicurezza dei diritti, effettivamente applicato dall’amministrazione comunale
L’orario di apertura è stato esteso: parco aperto 24 ore su 24 e, oltre a questo, il Comune ha finanziato eventi come concerti, feste, sagre e spettacoli.

…tra loro molto diversi

Le differenze tra i due modelli sono evidenti: nel primo caso c’è una politica autoritaria nel suo senso più stretto, che afferma cioè direttamente la propria autorità; oltre a questo, limita il godimento degli spazi pubblici da parte dei cittadini, cioè le vittime potenziali dei continui episodi di violenza.

Il secondo modello è basato invece su una politica pubblica di sicurezza, fondata sul coinvolgimento di cittadini ed associazioni culturali e su un uso illimitato degli spazi pubblici da parte di tutte le persone.

Una chiave che apre tante porte

Prendiamo un altro classico caso di microcriminalità: lo spaccio di droga per strada

Questo fenomeno si può combattere in due modi: o mettendo la pattuglia fissa nella piazza di spaccio, oppure “riprendendosi la piazza” con illuminazioni adeguate, telecamere, ma soprattutto rendendo la piazza ‘’viva’’.


Così si sta provando a fare a Cagliari con Piazza del Carmine, la cui bellezza viene continuamente oscurata da spaccio e malavita. L’amministrazione comunale ha infatti lanciato l’iniziativa “Carmine 2025”: dal 9 Giugno fino ad Agosto ci saranno attività di animazione, spettacoli, presentazione di libri, dibattiti e sport (link qui).

Inoltre, in questi giorni (14/09, n.d.r.) sta iniziando ”Responsabilità”, il festival Treccani della lingua italiana, con eventi ed ospiti, proprio in Piazza del Carmine.

Credo veramente che in questi casi valga il principio di effettività: la piazza è di chi la vive, e se la piazza non è vissuta dai suoi stessi cittadini, sicuramente il degrado e la criminalità prenderanno il sopravvento: il vuoto, in questi casi, non esiste.

Adottare questo modus operandi, inoltre, permette di prendere due piccioni con una fava: si risolve un problema, il degrado, e si dà anche un valore aggiunto culturale e sociale alla comunità cittadina.

Repressione contro coinvolgimento

Bisogna guardare però, come in tutte le cose, entrambi i lati della medaglia.

Il vero limite di questa politica, che considero l’unica capace di produrre effetti duraturi, è proprio il fatto che tali effetti si manifestano fondamentalmente a lungo termine.

Mettere una pattuglia nella piazza dove si spaccia non risolve  definitivamente il problema, perché lo spaccio si sposta di 10 metri, ma è un’azione che ha un effetto immediato e che soprattutto produce un risultato visibile.

L’ostacolo di una politica basata invece sul coinvolgimento e sulla costruzione, piuttosto che sulla mera repressione, è duplice: da una parte bisogna convincere le persone della bontà del proprio progetto, per fare in modo che si facciano parte attiva, ma dall’altra bisogna anche saperlo comunicare, chiedendo pazienza a chi, penso agli abitanti del quartiere Marina, è già esasperato da queste quotidiane situazioni di criminalità, e che giustamente chiede risposte immediate.

Dare risposte a lungo termine – seppur in assoluto migliori – a chi le chiede a breve termine è la cosa più difficile che si possa fare e spesso molti amministratori locali, magari per paura di non essere rieletti, non hanno il coraggio di farlo.

Politica urbanistica come strumento di legalità
È fondamentale chiarire che la microcriminalità e il degrado urbano non vanno solo contrastati successivamente: possono e devono anche essere prevenuti alla radice.

In questo, certamente uno strumento estremamente efficace è una politica di rigenerazione urbanistica, soprattutto dei quartieri più poveri.


Spesso mi chiedo quando ci siamo rassegnati all’idea di avere nelle nostre città quartieri ghetto in cui regna degrado, disordine e povertà, quando abbiamo accettato che avere nelle nostre città quartieri popolari con meno servizi fosse la normalità, quando abbiamo accettato l’idea di una sotto-città parallela dimenticata.


Tutto questo deve cambiare, e sinceramente ritengo che una seria e strutturale politica di rigenerazione urbanistica di questi quartieri possa dare una grossa mano; anche per questo ho accolto con grande piacere la notizia che nel quartiere popolare di Sant’Elia, a Cagliari, sono iniziati importanti lavori di riqualificazione.

Certo, la politica urbanistica non è l’unico strumento per combattere degrado e microcriminalità; deve essere necessariamente accompagnata dalla nascita di servizi, centri di ascolto e di supporto, ma è un fondamentale punto di inizio.

Anche la rigenerazione urbana, in fondo, è una forma di coinvolgimento: significa restituire dignità e centralità a quartieri che per troppo tempo sono stati esclusi.

Per concludere

Quelli che ho provato a presentarvi sono due modelli concreti, che rientrano in quello scontro perenne tra politiche con effetti immediati ma effimeri e politiche con effetti a lungo termine ma strutturali.

Questa dialettica la ritroviamo ovunque, anche al di fuori dal piano locale; pensate, per esempio, alla recente riforma sul femminicidio voluta dal governo che introduce il reato di femminicidio e aggrava le pene per i reati ad esso collegati (maltrattamenti, lesioni, stalking). 

È una risposta immediata, certo. Ma è davvero questa la soluzione? E l’educazione affettiva nelle scuole? E delle politiche strutturali che promuovano un vero cambiamento culturale, ce ne siamo dimenticati?

La politica fa ciò che le persone chiedono, per questo credo che dobbiamo, come comunità, fare uno sforzo, chiedendo riforme strutturali, anche se ci richiedono pazienza.

Non accontentiamoci della risposta immediata ma effimera. 

E l’unico vero modo per cambiare le cose veramente.

Andrea Olla

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