Ecco perchè la Lega è uscita sconfitta da questa tornata elettorale.
La cosa certa di questa tornata elettorale che ha visto la Sardegna chiamata al voto, domenica 25 Febbraio, è stata il tracollo elettorale della Lega (3,7%), dei suoi candidati, ma soprattutto del suo leader, Matteo Salvini.
Eppure il leader del carroccio, assieme ad altri leader della Lega, ha passato molto tempo in Sardegna per fare campagna elettorale, tra piazze, mercati, per poi chiudere con il grande evento alla fiera di Cagliari assieme ad Antonio Tajani e alla presidente del consiglio Giorgia Meloni.
Il risultato misero alle urne è stato per Salvini una pioggia sul bagnato.
Questa sconfitta si è infatti aggiunta a quella subita all’interno della coalizione di centro destra, poiché, di fatto, la Lega non è riuscita a far ricandidare Christian Solinas, mettendo sotto gli occhi di tutti la perdita di leadership all’interno del centro destra, passata già da tempo in mano a Giorgia Meloni.
In pochi, nel 2019, si sarebbero aspettati che quel partito che proprio in quell’anno aveva preso l’11% dei voti ed eletto un governatore della propria area, avesse potuto subire questa cocente sconfitta.
Come è potuto accadere? La ragione in realtà è abbastanza semplice. La perdita alla guida del centrodestra a livello nazionale si è riversata a livello regionale, ed ha portato ad una massiccia migrazione di voti verso Fratelli d’Italia, che dal 4,72% del 2019 è salita vertiginosamente al 13,6%.
Ciò che però è sbagliato è vedere questo risultato della Lega come qualcosa di anormale, è quello del 2019 come normale, e non straordinario (inteso nel senso letterale del termine, quindi fuori dall’ordinario ma non necessariamente positivo).
In realtà è proprio il contrario. È eticamente e moralmente normale che un partito come la Lega non raggiunga il 4% in Sardegna, così come in altre regioni del meridione, e ora vi mostro perché.
All’interno della sede della Lega a Cagliari, ad esempio, appeso uno striscione con su scritto a caratteri cubitali “STOP INVASIONE”. Il punto è che se ora quella (presunta) invasione fa riferimento a quella dei migranti nel nostro paese, prima si riferiva alle migrazioni dei meridionali (sardi compresi) verso il nord, verso la famosa “padania”.
La Lega di Matteo Salvini nasce di fatto dalla Lega nord di Umberto Bossi nel 2017. Salvini, come Bossi, fino ad allora voleva l’indipendenza della padania con lo slogan “Prima il nord”, poi prontamente trasformato in “Prima gli italiani”.
Salvini è lo stesso che nel 2015 propose Vittorio Feltri, a suo tempo direttore di Libero, come Presidente della Repubblica; quello stesso Feltri che pochi anni fa dichiarò, testualmente, in una trasmissione televisiva: “Io credo che i meridionali, in molti casi, siano inferiori”.
Molti sostengono che questo partito sia cambiato, che il suo leader sia cambiato.
Del resto Aldo moro, di tutt’altra collocazione politica, disse: “un partito che non si rinnovi con le cose che cambino, che non sappia collocare ed amalgamare nella sua esperienza il nuovo che si annuncia, viene prima o poi travolto dagli avvenimenti, viene tagliato fuori dal ritmo veloce delle cose che non ha saputo capire ed alle quali non ha saputo corrispondere.”
Ebbene, si può dire che la Lega sia realmente cambiata? Non si direbbe.
Da poco il Senato ha approvato, a larga maggioranza, la legge sull’autonomia differenziata, che molti esperti ritengono essere una misura che favorisce le regioni più ricche (quelle del nord) e danneggia quelle più povere (quelle meridionali).
Il padre di questa legge è l’attuale ministro per gli affari regionali e per le autonomie, Roberto Calderoli, leghista sin dal principio, fedelissimo di Bossi prima e di Salvini poi, che ha dichiarato che questa legge è il suo unico obiettivo politico.
Questi sono i motivi a sostegno della mia tesi, che rendono evidente che quanto ciò che è accaduto del 2019 è stato qualcosa di inimmaginabile.
La domanda che bisogna porsi ora è: la classe dirigente del carroccio, se la Lega dovesse mantenere questa (magra) linea di risultati, farà saltare Salvini dalla guida del partito da lui stesso fondato?
Non avrebbe senso senza una alternativa valida, ma soprattutto, senza qualcuno capace di far toccare i picchi di popolarità e consenso, che rasentavano il 40%, che la Lega ha avuto un paio di anni fa.
Le regionali in Abruzzo, Basilicata e Piemonte, ma soprattutto le elezioni europee di inizio Giugno ci diranno molto sul futuro di questo partito e del suo leader, finora indiscusso.
Andrea Olla – Cagliari
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